LE RELAZIONI DEL VESCOVO FISICHELLA E DI PADRE ANTONELLO AL CONVEGNO DI ROMAL’Enciclica «Deus caritas est» e il carisma vincenzianodi Gianfranco Grieco
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Era duplice l'intento del Convegno nazionale della famiglia vincenziana in Italia sull'Enciclica «Deus caritas est» cre (Roma 20-21 gennaio 2007): risentire il gusto della carità attraverso l'insegnamento vivo della Chiesa, riproposto da Papa Benedetto XVI e la testimonianza di chi ha fatto della carità il cuore della propria vita: e il centro della propria conversione a Cristo; e, in secondo luogo, favorire il sentimento di appartenenza all'unica famiglia nata dal carisma vincenziano per ridestare nelle coscienze la gioia dell'unità, quale segno concreto dell'amore di Cristo risorto che vive tra i poveri ai quali si presta quotidiano servizio. Nella fedeltà a questo duplice intento sono state presentate ai convegnisti due relazioni. La prima del Vescovo Rino Fisichella, Vescovo Ausiliare Roma, e Rettore della Pontificia Università Lateranense; la seconda del Padre Erminio Antonello, Visitatore dei Missioneri di san Vincenzo della Provincia di Tonno. |
(da L'Osservatore Romano, Mercoledì 24 Gennaio 2007) |
SEGRETERIA DI STATO Dal Vaticano, 1 febbraio 2007
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Reverendo Padre, Riconoscente per il gesto affettuoso di devozione e per i pensieri di stima e di adesione al Suo ministero che lo hanno suggerito, il Sommo Pontefice desidera far giungere ora l'espressione del Suo vivo apprezzamento per l'ispirazione evangelica da cui è animato codesto benemerito Sodalizio e per la preziosa testimonianza di carità e di servizio ai poveri che offrono i figli e le figlie di san Vincenzo de' Paoli. Egli, mentre incoraggia a proseguire con impegno sempre nuovo nell'imitazione del Buon Samaritano, secondo il carisma del Fondatore, invoca, per intercessione della Madre del Salvatore, su di Lei e sull'intera Famiglia Vincenziana doni di grazia, di speranza e di pace ed è lieto di inviare a ciascuno una speciale Benedizione Apostolica, estendendola volentieri alle persone care. Nel significarLe, con rammarico, che il mancato saluto è stato determinato unicamente da un involontario disguido, profitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinta stima
Mons. Gabriele Caccia
Reverendo Padre P. ERMINIO ANTONELLO |
IL CARD.FRANC RODE' AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE DELLA FAMIGLIA VINCENZIANA IN ITALIA RIUNITI A ROMA PER RIFLETTERE SULL'ENCICLICA DI BENEDETTO XVI "Deus Caritas Est"Missione e carità: due aspetti essenziali della spiritualità di san Vincenzo de’ Paolidi Gianfranco Grieco
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La missione e la carità sono due aspetti della spiritualità vincenziana: è quanto il Cardinale Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica ricordava ai partecipanti al Convegno nazionale della famiglia vincenziana in Italia raccolti domenica mattina 21 gennaio attorno all'altare della Cattedra della Basilica di San Pietro, per partecipare all'Eucaristia domenicale e trarre dalle due giornate di lavoro - 20-21 gennaio - dedicate alla studio e all'approfondimento dell'Enciclica «Deus caritas est» ad è un anno dalla pubblicazione, una forte ispirazione per cogliere dal documento un nuovo e forte impulso nel vivere e nel testimoniare il carisma vincenziano oggi. |
(da L'Osservatore Romano, Lunedì-Martedì 22-23 Gennaio 2007) |
L'ENCICLICA DEUS CARITAS EST E L'ESPERIENZA VINCENZIANALA TRAMA DI FONDO DELLA DEUS CARITAS EST: LA CARITA' RENDE RAGIONE DELLA FEDE
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H. U.Von Balthassar, il teologo amico di Benedetto XVI, ebbe a scrivere: “Solo l’amore è credibile”. Ora è proprio questa tesi che sembra guidare la preoccupazione di Benedetto XVI nel suo pontificato, di cui l’enciclica Deus caritas est rappresenta la proposta programmatica, poiché egli afferma: “La miglior difesa di Dio e dell’uomo consiste proprio nell’amore” (DCE n. 31, c). Dove si vede e si tocca che la fede cristiana corrisponde alla domanda dell’uomo di voler sapere il senso della realtà e del suo destino, e dunque è ragionevole? Nel fatto che Dio suscita l’amore nel cuore umano. Un’espressione di quel libro di Von Balthassar sopra citato illumina il pensiero insistente del papa che l’amore per poter essere donato deve essere ricevuto: “Quando la mamma per giorni e settimane intere ha sorriso al suo bambino, giunge il giorno in cui il bambino le risponde con un sorriso. Essa ha destato l’amore nel cuore del bambino e il bambino, svegliandosi all’amore, si sveglia alla conoscenza: le impressioni sensibili che fino allora erano rimaste vuote, ora si raggruppano attorno al nucleo del tu. La conoscenza comincia ad operare perché l’amore è stato messo in moto dalla madre. Così Dio si manifesta all’uomo come amore: è Dio che illumina l’amore e lo fa risplendere e accende nel cuore umano la luce dell’amore, quella luce che appunto è in grado di vedere quest’amore: l’amore assoluto. Da quel volto ci sorride la causa prima dell’essere. In quanto siamo sue creature, il germe dell’amore è assopito dentro di noi. E come nessun bambino si risveglia all’amore se non è amato, così nessun cuore umano può destarsi alla comprensione di Dio senza il libero dono della sua grazia” (H.U. Von Balthassar, Solo l’amore è credibile, ed. Borla 1965, p. 78). Il cristiano dunque fa esperienza del movimento gratuito di Dio che lo abbraccia nella sua libertà. E così l’uomo non si sente più “gettato in un mondo anonimo”, senza disegno e alla deriva. L’esistenza umana, qualunque essa sia, è un’esistenza supremamente amata. E da qui prende inizio l’esperienza della carità come rapporto d’amicizia fra persone, portando a condividerne i bisogni. “La fede, che prende coscienza dell’amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l’amore”, dice il Papa in un passaggio dell’enciclica (DCE, 39). La garanzia della positività della vita si trova nel circolo virtuoso che va dal “sentirsi amati” al diventare, a nostra volta, “capaci di amare”. E’ qui, nella bellezza della carità ricevuta e donata, che si può toccare il Dio di Gesù e si può dire: questo Dio mi corrisponde. Questa è la logica interna dell’enciclica: mostrare che la via dell’amore corrisponde al bisogno più profondo della dinamica umana, e perciò coincide con la “ragionevolezza della fede”. Pertanto si può dire che, per papa Benedetto, la carità rende ragione della fede. Per inciso, va detto che occorrerebbe superare una terminologia ristretta nel pensare alla “carità-agape” e riconoscere a questa parola un ampio respiro, poiché, come esprime tutta l’enciclica, essa indica assai più della semplice attività verso i fratelli bisognosi. Il “filo rosso” che caratterizza il pensiero dell’enciclicaNell’enciclica vi è una grande ricchezza di contenuti. A noi interessa cogliere il “filo rosso” che li tiene insieme. A me sembra che l’enciclica si snodi sotto forma di un dialogo sotterraneo. Il papa non parla in astratto. Ha davanti a sé il mondo moderno con il suo agnosticismo ed il credente concreto. Dialoga con questi interlocutori. E spiega loro quale sia il nucleo originario e centrale del cristianesimo. Nel suo centro non ci sta una teoria della società. Non ci sta un’etica. Ci sta “l’incontro con un avvenimento, con una Persona”, che colma l’orizzonte delle esigenze del cuore umano. (DCE n. 1) E descrive poi quest’avvenimento nella forma di una storia di amore, in cui Dio, il protagonista, mentre svela la sua natura di essere l’Amore, permette all’uomo di ritrovare le sue fattezze e riscoprire la propria dignità di figlio amato. E la carità dei cristiani amplifica nel tempo questa storia della tenerezza di Dio per la sua creatura: una storia che, per essere tale, è accompagnata dal suo Spirito d’amore. a) Dio ama perdutamente la sua creatura con amore anticipatoreDio si comunica in una storia di alleanza, all’interno della quale Egli patisce un’autentica passione per la sua creatura: “Dio è un amante con tutta la passione di un vero amore” (DCE n. 10). Al suo popolo si è legato con un legame sponsale, patisce quando questo popolo si separa, ne gioisce quando si comporta sponsalmente in un’appartenenza sincera. A questa storia appartiene il suo Figlio incarnato, crocifisso e risorto: supremo e insuperabile legame con cui la paternità di Dio intreccia il proprio Mistero con la sua creatura. Al riguardo Benedetto XVI non disdegna di attribuire una certa qual passione-eros in Dio nell’esprimere la sua dilezione per l’uomo: “L’unico Dio, in cui Israele crede, ama personalmente. Il suo amore è un amore elettivo … Egli ama, e questo suo amore può essere qualificato senz’altro come eros, che tuttavia è anche e totalmente agape” (DCE n. 9). L’uomo è l’immagine di Dio in cui Egli si specchia e riposa. Soltanto con la sorpresa di questo amore antecedente e gratuito è possibile predisporsi ad entrare in una relazione avvincente d’amore con la paternità di Dio: b) Dio intesse una storia di reciprocità con l’uomo, ricercando la sua risposta d’amoreTra Dio e l’uomo vi è un rapporto che vive di reciprocità; e Benedetto XVI, citando san Giovanni, descrive tale reciprocità utilizzando la metafora della dimora: “Dio è amore : chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui”. Amare è un dimorare reciprocamente di Dio nell’uomo e dell’uomo in Dio. Una casa è il luogo della familiarità, dove l’affetto reciproco è spontaneo ed immediato. E’ come se Dio dicesse alla sua creatura: sono contento di abitare con te, di stare con te, di intessere una relazione con te, perché nella tua casa io sto bene, mi trovo a casa mia. Si tratta dunque della familiarità di un rapporto, che esprime la gioia del riconoscimento reciproco. Propriamente è il rapporto di un padre e di un figlio: poiché questo è il rapporto che costituisce una famiglia. Non vi è più solo il rapporto religioso, per cui l’uomo è in ricerca di Dio, mistero sconosciuto e da temere; ma prima di tutto vi è “la sete di un Padre” che ricerca la sua creatura mostrandosi nell’amore: “Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo “prima” di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi” (DCE 17). Questa ricerca con cui Dio nel suo Figlio Incarnato, Crocifisso e Risorto, si protende verso l’uomo, con l’abbraccio da padre a figlio, ne riscalda l’incoscienza, mostrandone, preventivamente e antecedentemente ai meriti, rendendosi toccabile nell’amore di Gesù (cf DCE 12). Tale dimostrazione d’amore tende dischiudere la coscienza addormentata dell’uomo d’ogni tempo, portandola alla gioiosa scoperta di appartenere ad un disegno buono d’amore. Per questo l’amore diventa la porta che apre l’intelligenza umana su Dio, sull’uomo e sul mondo. c) L’amore è principio di conoscenza per l’uomoIn conclusione, mi pare che il nerbo segreto dell’enciclica Deus Caritas est sia precisamente che l’amore è la via per la conoscenza di Dio e dell’uomo. L’uomo d’oggi potrà conoscere Dio e se stesso se potrà fare una qualche esperienza della carità, se cioè potrà in qualche modo esperimentare nei credenti l’avvicinarsi di Dio alla propria umanità: “accordature” tra il magistero del Papa e il carisma vincenziano
Su questi presupposti, che esprimono un’idea di fondo del Papa, e cioè che il cristianesimo diventa significativo per “ragione umana” attraverso la via della carità, cercherò di delineare alcuni aspetti di consonanza tra l’insegnamento del Papa e la nostra esperienza vincenziana di evangelizzazione e servizio del povero. a) Il punto di partenza della carità verso i poveri: uno sguardo di fedeNella tradizione vincenziana c’è un testo che illumina il nostro modo di operare nella carità e ne costituisce il principio di azione. Dice san Vincenzo: b) La carità e l’eucaristia: un amore inventivo all’infinitoGuardare a Cristo ed assimilarsi a Lui, abbiamo detto, è all’origine della carità. Ma come avviene questo processo? Il papa lo ha accennato in un testo: “I santi … hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro col Signore eucaristico” (DCE 18). Qui c’è un secondo elemento di convergenza con il pensiero di san Vincenzo. Nei modi vincenziani di parlare è invalso l’uso di applicare all’amore di carità il passo, in cui san Vincenzo parla dell’amore che “è inventivo all’infinito” (Coste XI, 146). Dicendo che “l’amore è inventivo all’infinito” si vuol indicare che la carità non deve avere barriere, né porre condizioni o resistenze, poiché appunto la carità sa tradursi in infiniti gesti di cura verso l’altro. Ma nel modo di utilizzare questa espressione si trascura completamente il contesto in cui san Vincenzo la usa. Essa propriamente non riguarda la carità, si riferisce invece all’Eucaristia. La frase è all’interno di una esortazione ad un confratello morente, nella quale san Vincenzo gli suggerisce alcune elevazioni spirituali. Tra queste, uno dei pensieri dettati al confratello lo porta a considerare come sia grande l’amore di Dio, che poiché è “inventivo all’infinito” si è offerto all’uomo non solo nella sua umanità donata nell’incarnazione e sacrificata sulla croce, ma anche nell’Eucaristia, sacramento che risulta “uno stratagemma del suo amore per conquistarsi le anime ed i cuori di coloro da cui vuole essere amato”. Così tra la vulgata vincenziana e il pensiero autentico di san Vincenzo, quasi inavvertitamente è stato posto un principio importante, suffragato da altri testi molto chiari di san Vincenzo. E cioè, una carità autentica “inventiva all’infinito” avviene attraverso l’assimilazione a Cristo incontrato nel sacramento dell’Eucaristia. L’eucaristia fonte della carità è un pensiero caro a Papa Benedetto, argomentato nei nn. 13-14, nei quali prende posizione contro il tentativo di sconnettere la fede dalla morale, la pietà dall’agire nella carità, riducendoli ad elementi disarticolati e tra loro giustapposti, mentre essi sono intimamente connessi nell’atto di partecipare alla comunione eucaristica: c) La carità è un’esperienza di relazioneUn terzo elemento che avvicina il pensiero del Papa all’esperienza caritativa vincenziana è la considerazione della carità come esperienza di rapporto con il povero. Il carattere distintivo dell’esperienza caritativa nel mondo vincenziano si trova nella “visita a domicilio”, il cui valore è determinato precisamente dalla “relazione da persona a persona” che si stabilisce nella carità. In tal senso il pensiero di san Vincenzo è un richiamo costante alla relazione con il povero, con l’esigenza ad entrare in relazione con lui, poiché soltanto in questa reciproca empatia vi è la possibilità di un aiuto veramente umano. L’atto della carità crea sempre una reciprocità: nell’atto di dare, si riceve. Ed in questo ricevere è cancellata qualsiasi ombra di superiorità di chi compie l’atto di carità. Pertanto, nell’attività caritativa autentica, nello stare di fronte al povero non possiamo non vedere il povero che è in noi o, per lo meno, quello che saremmo se non avessimo ricevuto tutti doni che abbiamo ricevuto. I poveri ci riflettono sempre questa percezione di noi stessi, mostrandoci quello che siamo in profondità, e cioè che siamo poveri di fronte a noi stessi e a Dio. Questo sguardo di verità su noi stessi ci mette alla pari con i poveri e permette lo scambio caratteristico di una relazione di carità. Per questo motivo la virtù dell’umiltà, come ci ha insegnato san Vincenzo, è la prima condizione per vivere la carità verso i poveri, poiché “l’umiltà è figlia dell’amore” (Coste XII, 274). Esperimentare noi stessi “poveri” è una garanzia perché l’amore verso Dio e gli altri sia autentico. Esperimentare noi stessi oggetto dell’amore di Dio in maniera gratuita, senza che noi possiamo esibire un qualche merito nell’essere amati, amati dunque gratuitamente nel nostro nulla: questo atteggiamento apre la via della carità autentica. Non si può amare veramente se non si è umili, poiché “l’umiltà è una manifestazione autentica di carità, che attira la simpatia dell’altro” (Coste XII, 273). “Una persona, per quanto sia caritatevole, se non è umile, non ha la carità” (Coste XII, 210). Pertanto l’avvicinamento al povero nella carità non può svolgersi se non in una relazione di carità. Mediante essa si valorizza l’identità nascosta che ogni povero nasconde al di sotto del suo stato di povertà. Riassumendo, san Vincenzo diceva: «… siete destinate a essere il volto della bontà di Dio verso i poveri …, bisogna pertanto trattarli come questa stessa Bontà vi insegna, cioè con dolcezza, compassione e amore, perché essi sono i vostri padroni» (Coste X, 332). Rapporto tra carità ed evangelizzazione
Un altro aspetto in cui appare la sintonia tra il pensiero di Benedetto e di san Vincenzo è il rapporto della carità con l’evangelizzazione. Per papa Benedetto la carità è parte costitutiva della missione della Chiesa, insieme all’annuncio della Parola di Dio ed all’amministrazione dei sacramenti (cf DCE n. 22): “La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua stessa natura, è espressione della sua stessa essenza” (DCE 25 a). E perciò la natura della Chiesa di essere relativa a Cristo si manifesta non solo nell’azione di annuncio, né quando lo rende presente nei sacramenti, ma anche quando ne manifesta il volto buono verso l’uomo nell’azione caritativa: Decalogo per il servizio di carità attraverso le parole di Benedetto XVIPer tentare di riassumere alcuni orientamenti, quelli principali, in ordine ad un servizio della carità in senso cristiano attraverso le parole di papa Benedetto XVI, tento di redigere una specie di decalogo, raccogliendo e adattando le parole del Papa. Il difetto di questa raccolta sta nel distaccare le parole dal contesto e dalla logica del discorso ben articolato del Papa. Tuttavia ha il vantaggio di riassumere alcune idee-forza dell’Enciclica, che possono costituire una specie di vademecum per l’azione caritativa. La loro raccolta è solo funzionale ad una sintesi dell’insegnamento del papa in ordine alla pratica della carità. La trascrizione delle parole è leggermente adattata al nuovo contesto. 1. Riconosco l’amore preveniente e gratuito di Dio per me e per ogni creatura Abbiamo creduto all’amore di Dio: così esprimiamo la scelta fondamentale della nostra vita. All’inizio del nostro essere cristiano non c’è una decisione etica, né una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione definitiva. Dio ci ha amati per primo (1 Gv 4, 10): di conseguenza l’amore non è più solo “un comandamento”, ma è la risposta al dono dell’amore con il quale Dio ci viene incontro (cf DCE n. 1). 2. Per vivere un servizio efficace di carità purifico il mio sentimento e accolgo l’amore con il quale Dio mi gratifica Dio ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo “prima” di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi. Nello sviluppo di questo incontro si rivela con chiarezza che l’amore non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’amore. Abbiamo all’inizio parlato del processo delle purificazioni e delle maturazioni, attraverso le quali l’eros diventa pienamente se stesso, diventa amore nel pieno significato della parola. È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tutte le potenzialità dell’uomo ed includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza (DCE n. 17). L’uomo è un essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda. L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità. (DCE n. 5). Eros e agape — amore ascendente e amore discendente — non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere. Anche se l’eros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente — fascinazione per la grande promessa di felicità — nell’avvicinarsi “all’altro” si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà esserci per l’altro. Così il momento dell’agape si inserisce in esso; altrimenti l’eros decade e perde anche la sua stessa natura. D’altra parte, l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l’uomo può — come ci dice il Signore — diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cf Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio (cf Gv 19, 34). (DCE n. 7). 3. Il Crocifisso-risorto, dinamicamente presente nell’Eucaristia, è la sorgente viva della mia carità Noi cristiani continuiamo a credere, malgrado tutte le incomprensioni e confusioni del mondo circostante, nella “bontà di Dio” e nel “suo amore per gli uomini” (Tt 3, 4). Essi, pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi (DCE n. 38). Il suo amore è talmente grande da rivolgersi contro se stesso, rivolgendo il suo amore contro la sua giustizia (DCE n. 10). L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione (DCE 12). La fede, che prende coscienza dell’amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l’amore. Esso è la luce — in fondo l’unica — che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire. (DCE n. 39). 4. La fede in Cristo vivente è il principio del mio operare con amore a servizio dei poveri L’attività caritativa della Chiesa mantenga tutto il suo splendore e non si dissolva nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante. (DCE 31). L’operatore della carità non deve ispirarsi alla ideologie del miglioramento del mondo, ma farsi guidare dalla fede che, nell’amore, diventa operante. Deve perciò essere persona mossa dall’amore di Cristo: persona il cui cuore Cristo ha conquistato con il suo amore, risvegliandovi l’amore per il prossimo (DCE n. 33; cf 31, b). Eviterà la tentazione dello scoraggiamento: si libererà dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi (DCE 35). 5. Devo educare il mio cuore per saper vedere i bisogni dei poveri Nel soccorrere i poveri è necessaria la competenza professionale, ma da sola non basta. Gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore. Bisogna dedicarsi all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che i poveri sperimentino la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, l’operatore di carità ricerchi soprattutto la “formazione del cuore”, facendo quell’incontro con Dio in Cristo che suscita l’amore e apre l’animo all’altro, così che l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dalla fede che diventa operante nell’amore (DCE n. 31, a). 6. La mia carità deve passare dal semplice ‘fare’ o ‘dare qualcosa’ ad una relazione di carità
La carità è sempre più che semplice attività: “Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova” (1 Cor 13, 3). (DCE n. 34). L’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo. L’intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa così un partecipargli me stesso: perché il dono non umilii l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio, ma me stesso. Devo essere presente nel dono come persona. (DCE n. 34). 7. Per vivere la carità devo farmi sempre più umile L’operatore di carità non assume una posizione di superiorità di fronte all’altro, per quanto misera possa essere sul momento la sua situazione. Chi è in condizione di aiutare riconosce che, proprio aiutando, viene aiutato anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare. Questo compito è grazia. Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono (cf DCE n. 35). 8. Per agire nella carità devo appropriarmi di una preghiera capace di contemplazione
È venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo. Il contatto vivo con Cristo è l’aiuto decisivo per attingere sempre di nuovo forza nel servizio del povero. Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo. Il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all’efficacia ed all’operosità dell’amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l’inesauribile sorgente. (DCE n. 36. 37). Attraverso la sua partecipazione all’esercizio dell’amore della Chiesa, l’operatore di carità vuole essere testimone di Dio e di Cristo, e proprio per questo vuole fare del bene agli uomini gratuitamente (DCE n. 33). La carità non è in funzione del proselitismo, ma questo non significa lasciare Dio e Cristo da parte. L’operatore della carità sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. E’ compito delle organizzazioni caritative della Chiesa rafforzare questa consapevolezza nei propri membri (DCE n. 31, c). 9. Per servire bene il povero mi educo a collaborare con tutti in ordine alla carità Essendo interiormente aperto alla dimensione cattolica della Chiesa, l’operatore cristiano è capace di sintonizzarsi con le altre organizzazioni nel servizio alle varie forme di bisogno; ciò tuttavia senza smarrire il profilo specifico del servizio richiesto da Cristo ai suoi discepoli (DCE n. 34) 10.La carità è un compito senza fine che sa dialogare con la politica e la giustizia. La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente. La Chiesa vi contribuisce con la purificazione della ragione attraverso l’insegnamento della Dottrina Sociale (DCE n. 28 a). Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è proprio dei fedeli laici, come cittadini dello stato, sotto la propria responsabilità. La carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come ‘carità sociale’ (DCE, n. 29). Tuttavia l’amore — caritas — sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo (DCE n. 28 b). Conclusione
L’enciclica rappresenta per noi vincenziani una miniera da esplorare continuamente per tenere vivo il nostro modo di operare nella carità. Anche l’attività caritativa si può corrompere. Il Papa ci aiuta a riprendere in mano le coordinate della nostra vocazione ed a rinnovarci. Senza un cambiamento interiore, rileggendo la carità nella luce della fede, non possiamo sperare di fare molta strada nell’esercizo della carità. Questa enciclica è come la Magna Carta per la nostra vocazione vincenziana. Non possiamo non essere grati a Benedetto XVI di averci richiamato alla verità di ciò che più propriamente siamo come vincenziani: chiamati cioè ad esprimere l’amore di carità verso i poveri. |
(Roma 20-21 Gennaio 2007) |
UN NATALE DI SOLIDARIETA’ VERSO L’UGANDA |
Un Natale di solidarietà per i volontari della San Vincenzo che anche quest’anno hanno organizzato la consueta raccolta benefica a favore di Kisoga, un paese dell’Uganda. Si chiama appunto “Le galline di Kisoga, family farm” il progetto sostenuto dalla San Vincenzo. Si tratta di aiutare le popolazioni più povere mettendole in condizioni di mantenersi da sole. Gli aiuti saranno destinati a quelle famiglie che non possiedono un mezzo di sostentamento, ma hanno la volontà di mettersi in gioco, di impegnarsi in un lavoro che le aiuti a vivere ed educare i figli., Un microprogetto concepito in fase iniziale per alcune famiglie che costituiranno un modello per altre che vorranno seguire il loro esempio. Negli anni scorsi, grazie a questa iniziativa, diverse famiglie assegnatarie degli animali, hanno adottato anche alcuni piccoli orfani del proprio villaggio, ritenendo di avere “troppo” e di potere e di dovere aiutare anche chi era rimasto senza genitori. Nelle giornate di sabato e domenica scorsa sono stati raccolti circa mille euro che verranno portati personalmente in Uganda da Anna Pontello, Aldo Pontello e Emanuela Cenzi, volontari dell’associazione vincenziana. “Non abbiamo intermediari – precisa Anna Pontello – il 19 gennaio 2007 partiremo per Kisoga, dove con i nostri contributi compreremo galline, maialini, mucche, caprette da donare alla popolazione locale. Ci fermeremo un mese e così avremo modo di aiutare ad organizzare queste piccole fattorie familiari ed altri generi di attività per portare sollievo a questa popolazione che deve combattere ogni giorno contro la povertà e le malattie, come malaria, lebbra, Tbc ed Aids”. Chi ritenesse di aiutare la San Vincenzo, togliendo una briciola dal proprio esagerato Natale, può portare il proprio contributo presso la sede dell’associazione in corso Porta Novara. (s.r. Informatore Lomellino, 20 Dicembre 2006) |
(s.r. Informatore Lomellino, 20 Dicembre 2006) |
LA CASA DELLA CARITA’ OGGI APRE I BATTENTI Pranzo di solidarietà nella struttura realizzata dal Gruppo Vincenziano |
La Casa della Carità di C.so Porta Novara, fortemente voluta dal gruppo di volontariato vincenziano, è quasi pronta. Così oggi, in occasione del pranzo di solidarietà per raccogliere fondi con i sostenitori del gruppo, verrà utilizzato per la prima volta lo spazio comune al pian terreno, con una grande vetrina che si affaccia sulla strada. All’interno sono state recuperate le decorazioni ottocentesche sul soffitto: insieme al crocefisso della scultrice mortarese Rina Bonacasa contribuiscono a rendere l’atmosfera accogliente. Accanto, la cucina in acciaio, che potrebbe servire in futuro ad organizzare anche una mensa. Il recupero dell’immobile è stato graduale, ed ora è diventato la base operativa del gruppo che si occupa di assistenza alle fasce più deboli della popolazione. “ Il restauro dell’edificio è stato possibile grazie ai contributi della Fondazione Cariplo e della Regione – spiega il presidente del Gruppo, Maria Lice Comoglio – poi, è arrivata una mano da tutti, ed a poco poco siamo riusciti ad arrivare quasi al termine di questa impresa. Adesso vogliamo coinvolgere i giovani mortaresi in un’opera per gli anziani che ci chiedono sostegno. Chi ha i capelli bianchi non ha bisogno di aiuti economici, ma di qualcuno che dia una mano, lo ascolti, gli vada a fare la spesa. Per questo abbiamo bisogno di un’automobile usata che ci consenta di muoverci in libertà senza dipendere dall’uno o dall’altro”. Poco più in là il centro di ascolto, in cui vengono accolte le persone che hanno bisogno. “Non aiutiamo soltanto gli extracomunitari, ma anche un numero crescente di famiglie italiane: a volte sono mogli separate con figli a carico che da sole non ce la fanno, a volte sono nuclei familiari con situazioni drammatiche – continua – gli extracomunitari sostano fuori dalla porta, fanno confusione, quindi sono più visibili, mentre gli italiani sono più discreti. Ma questo non significa che non abbiano bisogno”. Poi, accanto, il magazzino in cui sono custoditi abiti, mobili, suppellettili e giochi donati dai cittadini che vengono distribuiti, insieme alle merci del banco alimentare ed ai medicinali del banco farmaceutico. Il GVV mortarese da un paio d’anni gestisce anche un servizio di fornitura di generi alimentari alle famiglie in difficoltà per conto del Comune con cui ha una convenzione. Al momento sono una ventina le persone che ricevono gli aiuti in sostituzione del vecchio buono comunale. E le famiglie di cui si occupa il GVV nel complesso sono molte di più, quasi duecento. |
(da La Provincia Pavese, 12 Dicembre 2004, Simona Marchetti) |
GEMELLAGGIO con Volontariato Vincenziano di KISOGA (Uganda)Le galline di Kisoga - Family Farm |
Il Volontariato Vincenziano di Mortara ha in corso un gemellaggio con il Volontariato Vincenziano di Kisoga (Uganda); nell'ambito di questo progetto, da tempo, partono dalla nostra città aiuti umanitari in favore della popolazione ugandese sotto forma di viveri, indumenti, medicinali per poter sopperire, almeno in parte, all'estrema povertà e alle malattie (AIDS,TBC,malaria, lebbra, . . . )che là imperversano. Ora, pensando ad un aiuto più duraturo nel tempo, il GVV di Mortara ha pensato a un progetto che aiuti le famiglie bisognose a raggiungere una forma di vita più dignitosa attraverso il lavoro in loco che le renda autonome e capaci di autogestirsi. A causa delle guerre che hanno imperversato nel Paese abbiamo preso coscienza che è utopistico portare avanti grandi progetti che rischiano di sperperare gli aiuti. La popolazione di quasi tutto il Paese è impoverita. La nostra idea di dare vita a "fattorie" e di incentivare il lavoro agricolo sono la sola cosa che giorno per giorno possa creare uno sviluppo stabile. Il microprogetto è stato concepito in una fase iniziale per alcune famiglie che costituiranno un modello e un riferimento per altre che vogliano seguire il loro esempio. Il progetto è infatti destinato a famiglie che non possiedono un mezzo di vita, ma hanno la volontà di mettersi in gioco, di impegnarsi in un lavoro che le aiuti a vivere e a educare i loro figli. questi microprogetti sono basati su piccole fattorie familiari (Family Farm) con vari tipi di animali: galline, maiali, mucche che in questa zona non trovano difficoltà a crescere. Nel periodo natalizio è stato inviato un messaggio di solidarietà ai mortaresi, chiedendo di donare una gallina, un maialino, una mucca a chi è meno fortunato di noi. Il GVV, con gli scout Agesci, ha allestito in P.zza Monsignor Dughera la "Tenda di Natale" dove ci si poteva rivolgere per l'adesione. Ed ecco i numeri della nostra "piccola fattoria familiare": la somma raccolta ci permette di acquistare 212 galline, 34 maialini e 3 mucche.forza, l'inizio è buono, ma si può fare ancora di più. Noi crediamo nella "Family Farm": è la strada giusta per rendere gli aiuti efficaci e aiutare una piccola fetta di mondo. |
(da Bollettino Parrocchiale "Sotto la nostra Torre", Gennaio 2004) |
POVERTA', IL RITORNOMortara: accordo con la San Vincenzo. Il Comune stanzia 5 mila euro per i cibi. |
La povertà riaffiora ancora in città. Ne diventa un
dato tangibile e quantificabile anche attraverso una delibera recentemente
adottata dalla giunta comunale. L'amministrazione aveva in passato aiutato
i poveri con dei "buoni sociali" di carattere economico. Ora ha deciso
di cambiare strategia e ha stanziato 5 mila euro per una sorta di primo
intervento alimentare che sarà sostenuto dal Gruppo di Volontariato Vincenziano
(GVV). |
(Bruno Romani, da Informatore Vigevanese, 27 Novembre 2003) |
AI VOLONTARI VINCENZIANI 5 MILA EURO PER IL CIBO DESTINATO AGLI INDIGENTI |
L'Amministrazione civica di Mortara ha sottoscritto una convenzione con il gruppo di volontariato vincenziano Aic Italia Onlus per la distribuzione di prodotti del banco alimentare a cittadini indigenti che gli verranno segnalati dall'ufficio municipale dei servizi sociali. L'accordo, sottoscritto dal sindaco Giorgio Spadini e caldeggiato dall'assessore alle politiche sociali Pinuccia Franchino Delù, ha durata per tutto il prossimo anno e prevede un esborso per le casse comunali di 5 mila euro, a fronte dei quali il gruppo vincenziano si impegna a fare avere gli alimenti avuti dal banco alimentare della Lombardia compresa la sezione lomellina alle famiglie povere mortaresi che ne faranno richiesta. L'iniziativa mira alla raccolta delle eccedenze alimentari e alla distribuzione delle stesse ai poveri e agli emarginati. Il banco alimentare si pone come il tramite ideale affinché l'eventuale spreco della filiera agroalimentare diventi ricchezza per gli enti assistenziali, ponendosi al servizio delle aziende del settore che abbiano problemi di stock e di eccedenze. Gli alimenti che vengono distribuiti sono prodotti integri e perfettamente commestibili che per diverse ragioni, legate alla stagionalità, al cambio di immagine o ad errori di programmazione della produzione, hanno perso valore economico e commerciale e sono destinati allo smaltimento. i prodotti raccolti e distribuiti vanno dalla carne in scatola a latte, yogurt, burro, formaggi, ortaggi e legumi, pasta secca, riso, pane, dolci, frutta, zucchero, uova, bevande e farine. Le aziende spesso scartano questi prodotti per difetti di confezionamento, legati a un'errata programmatura o a errori di stampa nell'etichetta, oppure perché concepiti come elementi di campagne promozionali non interamente realizzate, oppure ancora perché superati da nuove tecnologie di mercato. Il banco alimentare si incarica allora di raccogliere questi alimenti, e da qui il gruppo volontario Aic Italia Onlus reperirà i prodotti da distribuire alle famiglie mortaresi. Altra fonte di approvvigionamento del banco è la giornata nazionale della colletta alimentare, durante la quale i volontari del banco stesso invitano le persone che fanno la spesa nei supermercati ad acquistare alcuni generi alimentari per offrirli a chi ne ha bisogno. In Italia l'esperienza, fissata quest'anno per sabato 29 novembre prossimo, è iniziata nel 1997 con 1.600 tonnellate di prodotti raccolti per arrivare lo scorso anno a sfiorare le 5mila tonnellate di alimenti. Per ottenere il sostegno vincenziano gli interessati dovranno presentare domanda presso l'ufficio servizi sociali del Comune, cui spetta valutare l'esistenza dei requisiti necessari per potervi essere ammessi. |
(da Informatore Lomellino, 26 novembre 2003) |
BANCO ALIMENTARE INTESA TRA COMUNE E VOLONTARIATODistribuzione di cibo |
MORTARA. Più cibo a chi ne ha bisogno. La convenzione,
ormai in dirittura d'arrivo, tra l'assessorato ai servizi sociali di Fabrizio
Giannelli ed il gruppo di volontariato vincenziano presieduto da Maria
Lice Comoglio, sta portando ad un miglioramento nella distribuzione di
generi alimentari tra la fascia di persone più indigenti. |
(da La Provincia Pavese, 18 ottobre 2003, Simona Marchetti) |
CONTRO LE POVERTÁ, AGIRE INSIEMEIntervista al responsabile della Casa della Carità - GVV di Mortara |
Che cosa ci può dire della Casa della Carità
a Mortara oggi? Cosa offre alla cittadinanza la Casa della Carità? Quali sono attualmente i maggiori destinatari
dei vostri interventi? Tutto questo richiede mezzi e un impegno economico
non indifferente. Come fate? Per rivolgersi alla Casa della Carità: |
(da Bollettino Parrocchiale "Sotto la nostra torre", Ottobre 2003, Simona Marchetti) |
QUELLA DIVERSITA' A SCUOLAMassiccia la presenza degli insegnanti elementari |
Tutti uguali, tutti diversi. E' il titolo del corso di formazione tenutosi nei mesi passati a Mortara presso palazzo Cambieri e conclusosi lo scorso 10 Marzo. Voluto dal Gruppo di Volontariato Vincenziano di Mortara il collaborazione con il Centro servizi volontariato della provincia di Pavia, con la biblioteca civica di Mortara, con il Progetto intreccio e con il Comune di Vigevano, l'iniziativa ha visto una nutrita ed attenta partecipazione. Ottimo, dunque, il bilancio finale della proposta che ha visto la presenza di circa settanta iscritti. Un numero elevato che sta ad indicare come il problema della diversità culturale sia molto sentito anche a livello locale. L'impressione raccolta nel corso dei diversi incontri è che manchi ancora nel panorama lomellino un momento di confronto sul tema dell'inserimento degli immigrati nella società. Articolato in tre successivi incontri, il corso ha toccato temi come la situazione e l'inserimento a scuola di minori provenienti da altre culture, nonché atteggiamenti, giudizi e pregiudizi che la società sembra maturare nei confronti delle diversità. La maggioranza degli iscritti al corso si è rivelata essere costituita da insegnanti della scuola elementare di Mortara, personale coinvolto in modo particolare anche dal fatto di essere ogni giorno a contatto con allievi provenienti da realtà differenti. Grande il loro interesse, dunque, per le problematiche relative all'accoglienza e alla diversità linguistica, temi spesso difficili da affrontare senza mezzi idonei. Il corso mortarese ha avuto la grande dote di proporre e delucidare esperienze, anche complesse, provate da operatori del settore educativo impegnati in realtà maggiori. Così l'esperienza milanese ha potuto divenire base di partenza per cercare soluzioni operative concrete da sfruttare nel territorio. Il tutto grazie al ruolo del Gruppo di Volontariato Vincenziano di Mortara sempre più impegnato a favore dei piccoli. |
(da Informatore Lomellino, 26 Marzo 2003, Fiorenza Temmel Bianchi) |
CON "SPORTELLO DONNA" NASCE IL PROGETTO ROSA DEL GRUPPO VINCENZIANO |
Il Gruppo di volontariato vincenziano scende in campo nell'azione comune di sensibilizzazione alla realtà della violenza verso le donne diffusa dal manifesto dell'Associazione internazionale della carità. E lo fa concretamente, realizzando presso la Casa della Carità, in Corso di porta Novara, lo "sportello donna". L'importante iniziativa è stata pensata e voluta dal sodalizio cittadino al fine di contribuire alla grande causa delle donne vittime di soprusi, di maltrattamenti, di umiliazioni o di incomprensioni. Lo sportello donna è attivo ogni mercoledì dalle 15 alle 18 (tel.0384 90832) ed è gestito da volontari. Questo nuovo progetto è svolto in stretta sinergia con le assistenti sociali del comune e di alcune associazioni e strutture esterne capaci di fornire accoglienza alle donne in difficoltà. Inoltre, in casi particolari, è in grado di fornire assistenza legale. "Anche nella nostra realtà abbiamo riscontrato diversi casi di maltrattamenti - spiega la responsabile cittadina del Gvv - sia di tipo fisico sia psicologico. Questo terribile fenomeno, soprattutto nei casi delle donne extracomunitarie, spesso è determinato dalle diverse culture". Il periodo più intenso di questa importante campagna di sensibilizzazione promossa dall'Azione internazionale di carità e dal Gvv è compreso tra il 25 novembre. Giornata internazionale contro la violenza alle donne, ed il 10 dicembre. Giornata dei diritti umani. |
(da Informatore Lomellino, 4 Dicembre 2002, Roberta Vecchio) |